Focus NGE | Etica delle relazioni e struttura del mito – 2

Neon Genesis Evangelion, Etica delle relazioni e struttura del mito a cura di Aldo Pisano. Chiarificazione preliminare: per una genuina pop-sophia

Tratteggiare dei contenuti filosofici in una serie anime come Neon Genesis Evangelion significa condurre un’operazione “pop-filosofica”. Ora, parlare di un tale indirizzo vuol dire porsi in una condizione conflittuale con chi – a buona ragione – difende la legittimità della filosofia come scienza, come elaborazione di forti strutture di pensiero che corrono il rischio di essere volgarizzate.

Dall’altra parte, però, la pop-sophia continua indisturbata a fare i suoi proseliti, talvolta raggiungendo maggiormente il “pubblico” di quanto possa farlo la filosofia in senso rigoroso e/o accademico.

È dunque un dilemma irrisolvibile questa ormai contrapposizione, questa tensione fra due linee operative che apparentemente sembrano entrare in contraddizione riguardo lo stesso oggetto: il sapere filosofico.

Tuttavia, la conflittualità sorge laddove si presentino degli estremismi e di certo, chi pratica la filosofia, assume – o dovrebbe assumere – un atteggiamento di distacco da ogni forma di radicalismo. Da una parte, dunque, la schiera degli accademici, dall’altra quella dei pop-filosofi: una evidente posizione conflittuale.

A ben vedere, però, esercitando un giusto e sano atteggiamento filosofico, tale dicotomia è il frutto di un’incomprensione. Di fatto, non solo fra le schiere dei “pop-filosofi” si stagliano un gran numero di personaggi molto interessanti e che fanno parte del mondo accademico-scientifico, ma anche i pop-filosofi che non fanno parte dell’ambiente accademico in esso si sono formati. Esiste un’evidente e necessaria osmosi, in un procedimento che nella filosofia è sempre esistito e che si è, a buona ragione, sempre più formalizzato. Kant, nella Fondazione della metafisica dei costumi[1], analizza il procedere che muove dal senso comune alla formulazione di principi universali e viceversa: «In questo scritto ho eseguito il mio metodo nel modo che credo sia il più conveniente, se si vuole risalire analiticamente dalla conoscenza comune alla determinazione del suo supremo principio, e discendere di nuovo indietro, sinteticamente, dalla prova di questo principio e dalle sue fonti alla conoscenza comune, in cui si trova il suo uso»[2].

Così, a ben vedere, ogni scienza parte dal senso comune, da ciò che l’uomo offre come intuizione immediata sia sul piano conoscitivo, sia sul piano pratico: esisterà allora una psicologia del senso comune, una matematica del senso comune, una fisica del senso comune etc. etc. che nascono propriamente da una relazione di immediatezza con il piano dell’esperienza.

La filosofia assume un valore essenziale nel creare un ponte fra ciò che appartiene al senso comune e un sapere rigoroso, oggettivo e che sia razionalmente valido, dunque condivisibile dai più. Socrate, che gironzolava allegramente dialogando nelle piazze, era conscio della potenza della verità e che vi era un principio come l’Agathon al quale ricondurre il sapere dell’ignaro interlocutore, ed era Socrate stesso a fingersi ignorante, utilizzando quel metodo tutto filosofico che è l’ironia e, nello specifico, l’autoironia[3].

Così Massimo Recalcati divulga la psicoanalisi, Vittorio Sgarbi l’arte, Alessandro D’Avenia la letteratura, Carlo Rovelli la fisica, Piergiorgio Odifreddi la matematica. Eppure non si direbbe che le loro riflessioni siano sciocche, né tantomeno che non siano degli esimi accademici o pensatori, ma anzi tutto il contrario.

Allora come risolvere un dilemma così astruso, come invitare a capire che, seppure si parta dal senso comune per parlare di concetti frutto di una profondità di pensiero, questi non devono essere sminuiti? Bisognerebbe comprendere e imparare il modo attraverso cui la divulgazione non diventi volgarizzazione.

Probabilmente, però, il conflitto è solo apparente e quella che pare essere una assoluta polarizzazione, è risolvibile in un armonico movimento enantiodromico: così la filosofia si nutre del senso comune, il senso comune viene avvicinato alla filosofia, proprio come la verità nasce dal confronto delle opinioni, e le opinioni ben indirizzate si nutrono del valore regolativo della verità.

La pop-sophia non è filosofia, ma allo stesso tempo non contrasta con il valore della filosofia propriamente intesa. La pop-sophia è semplicemente un metodo per fare filosofia, un mezzo, una modalità che, soprattutto oggi, potrebbe tornare molto utile per avvicinare l’uomo al pensiero.

D’altronde, quale accademico, anche solo per un momento, non ha utilizzato una metafora cinematografica per rendere, icasticamente, un concetto anche complesso?

Con questo riferimento non si vuole di certo dire che chi lavora in ambito accademico sia un pop-filosofo, ma semplicemente si è appropriato di un mezzo appartenente a quel senso comune di cui il filosofo si nutre. È un’interessante partita di tennis quella che procede dal sapere sistematico al sapere comune: la pop-sofia sta un po’ in mezzo, tentando di facilitare il passaggio nell’era in cui il prodotto della cultura di massa è favorito alla lettura di un classico della filosofia. Il pop-filosofo, allora, con metodo e lentezza, muove dal basso all’alto, dalla luce del sole all’oscurità della caverna platonica, sperando di poter tirare con sé qualcuno dall’altra parte del campo da tennis, dove il filosofo è pronto a ricevere.

In fondo, se un concetto filosofico – per quanto importante a livello esistenziale e/o politico-sociale – viene subito presentato con una formula rigorosa, se viene letteralmente gettato in faccia a chi ascolta: (a) nel migliore dei casi viene assimilato solo come una nozione intellettualisticamente intesa, (b) nella maggioranza dei casi non viene capito, (c) in ultima istanza potrebbe anche non essere ascoltato, da chi è intellettualmente sordo.

Allora, forse accompagnare lentamente significa anche parlare un certo tipo di linguaggio accessibile, che inviti alla riflessione, alla comprensione, all’auto-comprensione, così da costruire un orizzonte di significato forte, in quella “cosa” che è il prodotto pop-culturale. La filosofia, allora, dimostra ancora una sana dimestichezza con il reale (in tutte le sue forme) e restituisce la cornice di senso, in quelle strutture di significato che – anche e soprattutto emotivamente – toccano lo spettatore.

La filosofia, da brava mater mentis, si accosta e affranca il figlio, per poi accompagnarlo come una semi-angelica Beatrice, verso vette più alte di riflessione e comprensione, dove il figlio, ormai autonomo, giunge a nozze con la verità. E da lì, imparerà a fare il filosofo, sia nell’intimità dell’autoriflessione, sia nella professione del bello, del vero, del giusto così da adempiere alla sua missione etica: tornare dai prigionieri, intrappolati nella caverna[4].

 Ancora, la filosofia muove sulla scia di quella continuità invisibile fra il mondo della teoria e il mondo della prassi, fra il mondo della teoretica e il mondo dell’etica.

Continua…


  1. Cfr. I., Kant, (1785) Grundlegung zur der Metaphysik der Sitten, tr. it. Fondazione della Metafisica dei costumi,  a cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari  2010.
  2. Ivi, p. 13.
  3. In qualche modo, “pop-filosoficamente”, il metodo socratico insegna a non prendersi troppo sul serio, tenendo conto del costitutivo limite ontologico, quindi anche conoscitivo che è proprio della conditio humana. Dunque, la filosofia è fatta anche di carmina triumphalia che l’io consapevole si auto-decanta, per farlo scendere dall’illusorio carro del vincitore assoluto.
  4. Cfr. Platone, Tutti gli scritti, (2000) tr. it. a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2016 (8a ed.).

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