Focus NGE | Etica delle relazioni e struttura del mito – 4

Neon Genesis Evangelion, Etica delle relazioni e struttura del mito a cura di Aldo Pisano. Etica e struttura delle relazioni in Neon Genesis Evangelion | Parte 2

Scansionando i livelli relazionali, si procede (i) dall’alterità assoluta, rappresentata dagli “Angeli” entità sicuramente né umane, né create dall’umano; (ii) si passa al livello della relazione dell’uomo con le macchine, la tecnica, l’intelligenza artificiale e la sua azione “perturbante”[1] sul soggetto, in quanto entità che si pongono in una posizione mediana fra l’alterità assoluta (sconosciuto) e un’alterità semi-conosciuta non umana, ma creata dall’uomo, la quale entra sempre di più un processo di autonomizzazione rispetto al suo creatore[2]; (iii) le relazioni propriamente umane (conosciute), quelle formali, esterne ed inclusive[3], che definiscono un rapporto di convivenza tacita ma che non permettono un contatto fra le individualità, quanto invece fra le personalità[4] ; (iv) le relazioni lievemente più strette, meno inclusive e più esclusive, che comprendono, ad esempio, le relazioni di amicizia, lavoro ecc.; (v) le relazioni strette con l’alterità, nello specifico (a) quelle familiari, soprattutto in riferimento al rapporto fra genitori e figli e (b) quelle sentimentali; (vi) le relazioni con l’alterità interna al soggetto, ad un io che non è pienamente conosciuto a se stesso: qui il soggetto entra in rapporto con le forme del Sé, qui si è nel campo dell’individualità e non più della personalità, dove hanno sede le forme di relazione forte con le componenti inconsce della psiche e dove, paradossalmente, si scopre un’Alterità assoluta interna al soggetto.

A tal proposito, rinomato ed emblematico, il passo freudiano contenuto in Introduzione alla psicoanalisi:

Nel corso dei tempi l’umanità ha dovuto sopportare due grandi offese del suo ingenuo amor proprio da parte della scienza. La prima, quando scoprì che la Terra non è il centro dell’universo, ma una minuscola particella di un sistema cosmico di una grandezza difficilmente immaginabile. Per noi tale scoperta è legata al nome di Copernico, sebbene già la scienza alessandrina avesse annunciato qualcosa di simile. La seconda offesa ci fu quando la ricerca biologica fece venir meno la presunta posizione di privilegio dell’uomo nella creazione e gli rinfacciò la sua provenienza dal regno animale e l’ineliminabilità della sua natura animale. Questo rovesciamento di valori è stato compiuto ai giorni nostri sotto l’influsso di C. Darwin, di Wallace e dei loro predecessori, non senza la più forte opposizione dei contemporanei, ma la megalomania umana deve subire la terza e più grave offesa da parte dell’attuale ricerca psicologica, la quale vuole dimostrare all’Io che non solo non è padrone in casa sua, ma deve accontentarsi di scarse notizie su ciò che accade inconsciamente nella sua psiche. E neppure siamo stati noi psicoanalisti i primi o i soli a proporre questo ammonimento a guardarsi dentro, ma sembra che spetti a noi sostenerlo nel modo più energico e avvalorarlo con materiale empirico che tocca da vicino ogni individuo[5].

Detto ciò, si può inoltre considerare che: (a) in ogni struttura relazionale si danno anche delle forme di interdipendenza che possono essere connotate positivamente o negativamente; (b) i rapporti che l’io intrattiene con i vari ambiti possono essere o etero-referenziali (Livelli I-V) o autoreferenziali (Livello VI).

Semplificando in uno schema le reti di relazione, si avrà la Figura 2:

Che Evangelion sia di fatto una serie incentrata sul valore delle relazioni, bene lo anticipa l’incipit del terzo episodio che prende le mosse dal “Dilemma del Porcospino”. Il dilemma – presentato la prima volta da Arthur Schopenhauer in Parerga e Paralipomena – espone il principio secondo cui, nelle relazioni umane, si mantiene sempre una sorta di riserbo (o distanza di sicurezza), affinché si possa convivere senza ferirsi a vicenda:

Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. – Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere. A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! − Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. − Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli[6].

Evangelion gioca proprio su questa oscillazione bisogno-non bisogno dell’altro, sino al suo momento conclusivo, quindi alla puntata finale in cui il protagonista Shinji, assume consapevolezza della presenza dell’altro, come necessario per al costruzione dell’identità personale.

A questo proposito suggerisce Antonio Da Re, riformulando Ricouer:

Quando si parla pertanto di aspirazione alla vita buona del sé, quando si dice che qualcuno stima se stesso s’intende anche dire che gli stima se stesso come (se fosse) un altro; conseguentemente, aver cura di sé significa anche aver cura dell’altro da sé. S’incontra qui la seconda componente dell’aspirazione etica, ossia la sollecitudine per l’altro: posso riconoscere l’altro, posso scorgere in lui un essere che sceglie e decide, capace di agire secondo delle ragioni, capace di stimare se stesso, perché l’alterità è richiamata nella mia stessa realtà personale, nella mia ipseità. Questo movimento verso l’altro da me è ricambiato del movimento dell’altro verso me stesso, secondo una logica di reciprocità che tuttavia riconosce l’insostituibilità di ciascuno[7].

Non esiste, di fatto, un passo che possa spiegare e riassumere meglio di altri: (a) la relazione io-tu per come analizzata da Ricouer, (b) la logica delle relazioni e dell’interdipendenza io-tu per come si mostra in Evangelion.

Continua…


  1. Cfr., S., Freud, (1919) Das Unheimlich, tr. it. Il perturbante, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri 1991.
  2. Per una interessante analisi di tale questione relativa all’antropologia filosofia, si veda: G., Anders, (1956) Die Antiquiertheit des Menschen, tr. it. L’uomo è antiquato, 2 voll., Bollati Boringhieri, Torino 2007. Chi scrive ringrazia profondamente la professoressa Ines Crispini per avergli reso noto un tale capolavoro, che guarda in maniera tanto lucida quanto complessiva all’antropologia filosofica contemporanea.
  3. A tal proposito, si consiglia: R., Polin, (1968) Éthique et politique, tr. it. Etica e politica, a cura di L. Lippolis, Giuffrò ed., Milano 1985.
  4. Il rapporto tra Persona e Individualità è ciò su cui si basa l’intera trattazione junghiana sul processo di individuazione. Scrive Jung riguardo il concetto di “Persona”: «[…] è un segmento più o meno accidentale o arbitrario della psiche collettiva, possiamo cadere nell’errore di considerarla, anche in toto, come qualcosa d’individuale; ma, come dice il nome, essa è solo una maschera della psiche collettiva, una maschera che simula l’individualità, che fa credere agli altri che chi la porta sia individuale (ed egli stesso vi crede), mentre non si tratta che di una parte rappresentata in teatro, nella quale parla la psiche collettiva. Se analizziamo la Persona, stacchiamo la maschera e scopriamo che ciò che pareva individuale è, in fondo, collettivo, in altre parole che la Persona era soltanto maschera della psiche collettiva. Tutto sommato, la Persona non è nulla di “reale”. È un compromesso fra l’individuo e la società su “ciò che appare”». [G. Jung, (1921) Psychologische Typen, tr. it. Tipi psicologici, a cura di Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, Fabbri ed., Milano 2014, p. 518. Corsivo nel testo]. Altrettanto interessante è la riflessione offerta da Hannah Arendt, nella ricostruzione etimologica del lemma: «Persona, in ogni caso, definiva originariamente la maschera che ricopriva il volto “personale” dell’attore e servita a indicare agli spettatori quale fosse il suo ruolo nel dramma. Nella maschera, imposta dal dramma, c’era però una vasta apertura, più o meno all’altezza della bocca, attraverso cui la voce dell’attori poteva passare e risuonare, nella sua nuda individualità. Ed è proprio da questo “risuonare attraverso” che deriva il termine persona: il verbo per-sonare, “risuonare attraverso”, è quello dal quale deriva infatti il sostantivo persona, “maschera”» [H., Arendt, (1975) Prologo, in Responsabilità e Giudizio, a cura di Kohn J., tr. it. di Tarizzo D., Einaudi, Torino 2003, pp. 10-11. Corsivo nel testo.].
  5. S., Freud, (1915-1917) Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse, tr. it. Introduzione alla psicoanalisi, a cura di Irene Castiglia, Fabbri ed., Milano 2010, pp. 214-215.
  6. A., Schopenhauer, (1851) Parerga und Paralipomena: kleine philosophische Schriften, tr. it., Parerga e Paralipomena, a cura di M. Montinari e E. Amendola Kuhn, Vol.2, Adelphi, Milano 2007 (3a ed.), p. 884. Corsivo nel testo.
  7. A., Da Re, (2010) Le parole dell’etica, Mondadori, Milano, p. 34.
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