Focus NGE | Etica delle relazioni e struttura del mito – 5

Neon Genesis Evangelion, Etica delle relazioni e struttura del mito a cura di Aldo Pisano. Etica e struttura delle relazioni in Neon Genesis Evangelion | Parte 3

Adesso, si procederà alla descrizione dei livelli di relazione sopra semplificati, con un eventuale approfondimento di tematiche parallele, presenti all’interno della serie.

  1. Il primo livello è dunque quello delle relazioni che si intrattengono con l’Alterità assoluta, fuori dal soggetto, con entità non umane, non create dall’uomo. In queste entità che sono appunto gli “Angeli”, si riscontrano connotazioni tipicamente attribuite alle divinità. Rispetto a queste entità, si pone una forma relazionale di completa estraneità del soggetto-uomo rispetto ad esse, anzi si definisce una necessità di indipendenza rispetto a questi “dei” che devono essere sconfitti, altrimenti il rischio è propriamente quello di estinzione della razza umana. Eppure, la NERV, ravvisa in queste divinità una possibilità di potenziamento dell’uomo, tentando un’inquietante combinazione genetica, e lo fa proprio attraverso gli “Eva”, i quali vengono creati partendo dalle informazioni genetiche che la NERV riesce ad estrapolare dal primo angelo, chiamato “Adam”. Ora, rispetto a questi Angeli, che appaiono come entità che non comunicano in forma verbalizzata, si pone una chiara condizione di conflittualità forte: essi vanno eliminati, non interessa né come, né perché. Proprio questa mancanza di un movente consapevolmente assunto è ciò che contraddistingue i quattro piloti degli Eva (chiamati Four Children), tranne che per due di loro: Rei Ayanami, nella quale è custodita l’anima del secondo angelo Lilith, e poi Shinji, che dal settimo episodio inizia a porre la domanda di senso su ciò che sta accadendo. In questo episodio ha inizio il lavoro filosofico messo in moto da Shinji, il quale pone la domanda filosofica per eccellenza, quella relativa al “ti esti”, al “che cos’è”. Viene messa così in moto un’operazione di ricerca di senso, in cui l’accavallarsi dei “perché” nella mente del protagonista, lo portano verso un sempre maggiore tentativo di comprensione partendo dagli Angeli, passando agli Eva e alla relazione di dipendenza con essi, sino ad una sempre più profonda ricerca di se stesso.
  2. Il secondo livello è sicuramente quello più rilevante, da cui ha origine l’intero percorso di costruzione di senso della trama dell’anime: qui prende avvio il viaggio introspettivo. Nel secondo livello di relazione si trovano gli “Evangelion”, le entità che – non solo danno in qualche modo titolo all’opera – ma rappresentano la chiave di volta dell’opera stessa, proprio perché si collocano in quella dimensione “di mezzo” fra lo sconosciuto (angeli) e il conosciuto (uomo), con un immediato rinvio al perturbante.  Scrive Freud: «il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare»[1], e più avanti viene proposta una relazione fra il perturbante e l’animismo, in precisa connessione con la magia e la tecnica:

L’analisi dei casi in cui compare l’elemento perturbante ci ·ha ricondotti all’antica concezione del mondo propria dell’ animismo, che era caratterizzata dal popolare il mondo di spiriti umani, dalla sopravvalutazione narcisiscica dei propri processi psichici, dall’onnipotcnza dei pensieri e dalla tecnica della magia che su questa onnipotenza era costruita, dall’assegnazione di poteri magici accuratamente graduati a persone e cose estranee e da tutte le creazioni con le quali il narcisismo illimitato di quella fase dell’evoluzione opponeva resistenza contro le esigenze irrecusabili della realtà[2].

La psicoanalista Simona Argentieri ha pubblicato per il mensile Mind, un interessante articolo sull’attuale remake di Dumbo. Nello specifico, nel live-action firmato Disney – diretto da Tim Burton (che di perturbante ne sa qualcosa) – emerge l’Unheimlich freudiano mediante la tecnica del motion-capture, che permette di catturare espressioni umane, così da trasporle su entità non umane, nel caso specifico sul celebre elefantino Dumbo.

Così scrive la Argenteri:

Il miscuglio “perturbante” di fascino e di angoscia, al confine periglioso tra l’illusione e la follia, sta proprio nel dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero; e viceversa nella simmetrica incertezza che un oggetto inerte, per esempio una statua, sia pervaso dal soffio della vita. Così, nella realizzazione cinematografica il perturbante è abilmente evocato quando a interpretare creature artificiali, da Pinocchio ai “replicanti“ di Blade Runner, vengono chiamati attori umani[3].

Non è un caso che gli “Eva” vengano creati dalla tecnica umana, partendo dalle informazioni e dal materiale ottenuto da quell’entità divina che è il primo angelo. Gli Angelion umani sono infatti Ev-angelion [gr. εὐαγγέλία, ας, η], in una derivazione etimologica in cui il prefisso eu- denota “bene”[4]. Essi sono i “buoni angeli”, ciò che l’uomo ha creato in quanto entità sovra-umane o più-che-umane, grazie alla tecnica, grazie alla conoscenza che gli permette adesso di modificare o creare la vita, al pari di dio[5]. A questo proposito ci sono due considerazioni da fare: (a) una di ordine linguistico e/o simbolico-religioso, infatti se il primo angelo – da cui l’uomo estrapola il materiale per costruire gli Evangelion – è chiamato “Adam”, non è di certo un caso che, l’ideatore della serie, utilizzi l’abbreviazione “Eva” per poi definire quelle macchine che nascono dal primo uomo[6];

(b) la seconda considerazione è di ordine mitologico-concettuale, infatti ciò che permette all’uomo di creare gli Eva è la tecnica e la tecnica è conoscenza, quella stessa che Prometeo porta all’uomo: la conoscenza, la sua forza e il suo potere, che tende a superare l’uomo, giustificano quindi il suo essere derivata simbolicamente dagli dei[7].

A questo proposito – come già si citava – Günther Anders scrive delle pagine splendide in L’uomo è antiquato. L’uomo crea qualcosa che, ad un certo punto, si autonomizza, cammina su un binario proprio, sganciandosi dalla dipendenza dal suo creatore, il quale ne perde il controllo. L’uomo si vergogna della propria precarietà, rispetto a quell’opera tecnica perfetta, indistruttibile, permanente che egli stesso ha creato. Da qui, la necessità stessa dell’uomo di rendersi simile a quell’immutabilità. Scrive Anders:

Il desiderio dell’uomo odierno di diventare un selfmade man, un prodotto, va visto dunque su questo sfondo mutato: Non già perché non sopporta più nulla che egli stesso non abbia fatto, vuole fare se stesso; ma perché non vuole essere qualcosa di non-fatto. Non perché provi indignazione per essere fatto da altri (Dio, dèi, natura), ma perché non è fatto per nulla e, nella sua qualità di non fatto, è inferiore a tutti i suoi prodotti fabbricati[8].

Questo è chiaramente un tema molto dibattuto nell’ambito dell’antropologia filosofica, ma anche nel campo dell’etica applicata, in riferimento a temi come la bioetica e l’intelligenza artificiale. Il tema della combinazione fra l’organico e il robotico, con la nascita della cybernetica è inoltre un tipico nucleo d’interesse dei manga e degli anime giapponesi. Qui, l’avanzare della questione relativa al trans-umanesimo: superare l’uomo mediante i prodotti creati dall’uomo stesso, in una specie super-umana che è quella che combina genetica e robotica. Sempre Anders scrive:

Gli esperimenti dello Human Engineering sono effettivamente i riti di iniziazione dell’epoca dei robot; e i soggetti delle esperienze sono i candidati e infine i neofiti, che sono ora orgogliosi di aver superato la loro «infanzia» e di aver fruito dell’«educazione del genere umano» oggi necessaria. Ma se sono le macchine a essere considerate «adulte», allora il «superamento dell’infanzia» e l’«educazione del genere umano» significano il «superamento dell’essere uomo». E per il moralista, che non può lasciar finire l’idea di uomo nell’inutile ciarpame, tutto ciò sbocca naturalmente e semplicemente nella catastrofe. Effettivamente ciò che l’uomo spera si ottenere con i suoi esprimenti è il climax di ogni possibile disumanizzazione[9].

Infatti, come si ricordava nella sinossi, scopo fondamentale della Seele nella serie è il “Progetto per il perfezionamento dell’uomo”, che sposa pienamente tale linea dell’antropologia filosofica contemporanea.

Continua…


  1. S., Freud, (1919) op. cit.., p. 270.
  2. Ivi, p. 293.3
  3. S., Argenteri, “Ridateci gli elefanti rosa”, in Mind, n. 174, Anno XVII, Giugno 2019, pp.  10-11. C’è da aggiungere che, di fatto, anche nell’ambito della cinematografia horror, i film di maggiore efficacia e impatto mettono in gioco, inconsciamente o meno, la presenza di un’entità perturbante: pagliacci, pupazzi parlanti, bambole assassine sono quelle che incutono un timore non indifferente (al pari di come lo era il Sandmann citato da Freud nel suo saggio). Da notare che molti scrittori prolifici di letteratura dell’orrore contemporanea mettono in atto il “pertubante”. Ad esempio, Stephen King propone una vasta gamma di entità quali clown, cani indemoniati, animali domestici che tornano in vita,  sin anche automobili: in tutto questo si verifica il doppio movimento tra il conosciuto e lo sconosciuto, in cui l’uno sconfina nell’altro. Allo stesso modo è stato per la fortuna dei racconti di R., L., Stein con i suoi Piccolo brividi.
  4. Rocci, L., εὐ-αγγέλία, ας, η, in Vocabolario Greco-Italiano, Società editrice Dante Alighieri, Perugia 1995 (38a ed.).
  5. Qui il riferimento corre irrimediabilmente alla Bioetica e al dibattito tra quella laica e quella cattolica. Inoltre, lo slittamento tematico avviene anche sulla questione del trans-umanesimo e post-umanesimo. Alcuni riferimenti testuali sui temi potrebbero essere:
  • G., Fornero, (2009) Bioetica cattolica e bioetica laica, Mondadori, Milano.
  • J., Habermas, (2001) trad. it. a cura di L. Ceppa, Il futuro della natura umana: i rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino 2002.
  • D., Haraway, (1995) Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano.
  • F., Fukuyama, (2002) L’uomo oltre l’uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologica, Mondadori, Milano.
  • R., Manzocco, (2014) Esseri umani 2.0. Transumanesimo. Il pensiero dopo l’uomo, Springer, Milano.

Nella serie, si ripropone una relazione triadica Dio-Adam-Eva, che costituisce un prestito dalla tradizione vetero-testamentale: «Allora il Signore Dio fece cadere un sonno profondo sull’uomo, che si addormentò, poi gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio dalla costole, che aveva tolto all’uomo, formò una donna. Poi la condusse all’uomo». [ A.V., (a cura di) (2010) La Bibbia, San Paolo, Milano, p. 15]. Non è un caso che il simbolo della NERV sia una foglia di fico a metà (fig. 3), indice di una imitazione della genesi biblica, una creazione innaturale, imitativa. A questo proposito, la letteratura aveva già dato un’importante impronta con il Frankenstein  di Mary Shelley. A questo proposito si rinvia a: P., Gulisano, A., Antonazzo, (2015) Il destino di Frankenstein. Tra mito letterario e utopie scientifiche, Ancora, Milano. Chi scrive ringrazia Ida Mele per la suggestione di lettura.

  • 7. Diventa qui emblematica, l’interpretazione junghiana contenuta in L’io e l’inconscio, testo fondamentale per comprendere il principio di individuazione come processo di assimilazione dell’inconscio al conscio: «Questa conseguenza di una maggiore consapevolezza non è affatto specifica del trattamento analitico. Essa si verifica dovunque gli uomini sono sopraffatti da una nozione o da una scoperta. “Il sapere gonfia”, scrive Paolo ai Corinzi, perché la nuova conoscenza aveva montato la testa a qualcuno, come sempre suole avvenire. L’inflazione non ha niente a che fare con la natura della scoperta, ma semplicemente col fatto che una nuova conoscenza può prendere talmente possesso di chi è debole di cervello, da non permettergli di vedere e di a. Egli ne è ipnotizzato, e crede di aver scoperto l soluzione dell’enigma dell’universo. Ma ciò equivale a presumere di sé. Questo fatto è così generale, che per la stessa Genesi (2.17) il mangiare il frutto dell’albero della conoscenza è il peccato mortale. Può non riuscire senz’altro chiaro perché mai un certo aumento di consapevolezza, seguito da un po’ di presunzione di sé, debba essere così pericoloso. La Genesi raffigura la presa di coscienza come la violazione di un tabù, come se mediante la conoscenza si oltrepassi empiamente un limite sacrosanto. Io che la genesi abbia ragione, perché ogni passo verso una maggiore consapevolezza è una specie di colpa di Prometeo: con la conoscenza si commette in certo modo un furto al fuoco degli Dei, si strappa cioè dalla sua connessione naturale qualcosa che era proprietà delle potenze inconsce, e lo si sottopone all’arbitrio della coscienza. L’uomo che ha usurpato la nuova conoscenza subisce un mutamento o un ampliamento della sua coscienza, sicché questa diventa dissimile da quella del suo prossimo. Egli si è bensì elevato sopra ciò che al suo tempo è umano (“sarete come Dio”), ma così facendo si è anche allontanato dall’uomo. Il tormento di questa solitudine è la vendetta degli Dei: egli non può più ritornare fra gli uomini. Come dice il mito, è incatenato alle alte e solitarie rocce del Caucaso, abbandonato dagli Dei e dagli uomini». [C. G. Jung, (1928) Die Beziehungen zwischen dem Ich und dem Unbewussten, tr. it. L’io e l’inconscio, a cura di Arrigo Vita, Bollati Borighieri, Torino 2012, pp. 63-64n.]
  • 8. G., Anders, (1956) Die Antiquiertheit des Menschen, I: Über die Seele im Zeitalter der zweiten industriellen Revolution, tr. it. L’uomo è antiquato. I. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 33. Corsivo nel testo.
  • 9. G., Anders, (1956) Die Antiquiertheit … op. cit.,  p. 47. Corsivo nel testo.
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