Focus NGE | Etica delle relazioni e struttura del mito – 13

Neon Genesis Evangelion, Etica delle relazioni e struttura del mito a cura di Aldo Pisano. Tra mito[1] e fiaba | Parte 2

Se il primo monito, lo si è riscontrato in relazione al terzo paragrafo, appunto analizzando il tema della conoscenza di sé; il secondo è ravvisabile proprio in quel concetto che è la hybris, la tracotanza o la dismisura[2].

L’uomo che “vuole troppo” è l’uomo che non conosce il limite, che tenta di superare il giusto e misurato che gli è concesso, è dunque un uomo che tende a snaturarsi, nel tentativo di una pallida imitazione degli dei[3]. È un uomo che «tende a minacciare l’ordine del mondo e pertanto si espone al castigo degli dei»[4], quindi alla nemesis.

Allora la dea Nemesi ristabilisce l’ordine, punendo chi “vuole troppo”, diventando così la forma più esplicita di ammonimento contro il circolo eterno dell’inesauribilità umana del meccanismo del desiderio[5]. Dunque, la divinità, Ju-piter (cfr. p. 30), il padre pone la legge per circoscrivere lo spazio della hybris tracciando un limite, il padre definisce i divieti poi necessari alla costruzione del super-io in quanto istanza morale:

la psicoanalisi suggerisce, qui come in altri casi del totemismo, di prestare fede ai credenti che chiamano il dio padre, come chiamavano progenitore il totem. Se la psicoanalisi merita una qualche considerazione, allora, nonostante tutte le altre origini e tutti gli altri significati di dio, sui quali la psicoanalisi non può fare luce, l’aspetto paterno dell’idea di dio deve essere estremamente importante. […]

Il totem può essere, così, la prima forma del sostituto paterno, il dio invece una forma successiva nella quale il padre ha riacquistato la sua figura umana[6].

Inoltre – facendo una riflessione a margine del brano di Bettelheim sopra citato – è interessante considerare proprio come nella società contemporanea, i modelli di fiaba e mito che vengono presentati, trovano molta diffusione tramite l’opera cinematografica. Nello specifico, basti pensare al colosso Disney che ha provveduto sin dagli anni ’30 a ripresentare il modello della fiaba classica, per poi maturare al suo interno una sempre maggiore autonomia “filosofica”. Infatti, negli ultimi live-action c’è una sempre maggiore perdita della polarità bene-male, che deriva da un’indagine psicoanalitica sul personaggio. Ebbene, in questo caso si è ancora nell’ambito dell’eroe fiabesco, mentre in altri casi, siano essi di opere scritte od opere filmiche, si vengono a presentare dei personaggi che non sono eroi imitabili in tutto e per tutto, proprio perché possiedono qualcosa in più rispetto all’uomo ordinario.

Non a caso nascono nella fumettistica come super-eroi, ossia come coloro che stanno al-di-sopra dell’eroe classico, in quanto possiedono qualcosa in più rispetto all’ordinario. Sempre non a caso, il super-eroe non si identifica con un “io” ordinario, ma appunto con un “Super-Io”, il che riconfermerebbe la posizione di Bettelheim, e da qui anche la possibilità di spiegare l’utilizzo del prefisso “super-” [ted. Über].

E se il super-eroe rappresenta l’istanza psichica della moralità, del consolidarsi della coscienza etica in virtù di atti e responsabilità, non è ancora un caso che il celebre Spider-man (super-eroe Marvel) sia “condannato” ad assumersi pesantissime responsabilità etiche, secondo la ormai notissima frase che lo riguarda direttamente: «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità»[7]. Una sentenza che conferma ancora il nesso tra il super-eroe e la formazione del super-io.

Nello specifico, in questo ormai sconfinato universo DC e Marvel, si intuisce il senso del ragionamento di S. L. Jackson nei film della trilogia di Shyamalan che comprende The Unbreakeable, Split e Glass. Jackson, infatti, che interpreta “L’uomo di vetro”[8] esprime consapevolmente l’idea che i super-eroi, coloro che sono dotati di capacità sopra la norma, coincidano con quegli dei dell’antichità tanto declamati. Questa linea di connessione restituisce nella contemporaneità il rapporto tra fiaba e mito.

Evangelion è come se si ponesse a metà fra la struttura della fiaba e quella del mito, presentando un eroe umano, che non è un super-eroe, seppure tenti di diventarlo (non per sua volontà), grazie all’ausilio delle conoscenze e della tecnica che possono rendere l’eroe un super-eroe o – per dirla in termini ancora più universali in riferimento al mito – l’uomo un dio.

Per capire come sia riconducibile Evangelion all’antico rapporto hybris-nemesis– per riconnetterlo alla questione della tecnica – è interessante convergere nuovamente l’attenzione sull’universo fumettistico della Marvel. In questo caso, succede che l’odierna mitologia dei super-eroi è tale in virtù dell’ontogenesi del super-eroe stesso. Questi non sceglie di esserlo: sia la natura, sia il caso (con eventuale discussione sull’idea della predestinazione) assegnano ad un uomo la possibilità di essere un super-uomo o, in riferimento al lessico della narrazione fiabesca, l’eroe diventa un super-eroe.

Tuttavia, chi tenta di sfidare i protagonisti dell’universo di Stan Lee sono spesso anti- supereroi che tentano di acquisire le stesse capacità assegnate naturalmente ai super-eroi, ma lo fanno in maniera illegittima, non per natura. Essi costruiscono strani marchingegni frutto della tecnica o della manipolazione genetica. C’è quindi una sorta di tacita messa in guardia di fronte alla degenerazione tecnologica: l’anti-supereroe tenta di imitare il super-eroe, e ancora torna il tema già discusso per cui l’uomo tenta di imitare dio, la tecnica tenta di imitare la natura.

In questi termini, la conclusione spesso tipica è la sconfitta dell’antagonista e quindi il suo collasso, spesso causato da un tilt del prodotto che il “cattivo” stesso ha costruito: l’aliante di Goblin ucciderà così l’anti-supereroe in Spider-man.

Dunque, la hybris incontra la nemesis divina che, traslitterando, coincide con la rivendicazione della natura di fronte all’illusione della conoscenza[9], intesa come fallace possibilità di controllo totale sulla tecnica da parte dell’uomo.

Ma ci sono altre idee, forme e strutture del mito presenti in Evangelion che le combina, le mette insieme, le amalgama in maniera geniale, mostrando anche le sincronie tra narrazioni diverse del mito: quella cristiana, quella greca, quella induista, quella ebraica e via dicendo.

È certo, però, che quella struttura mitologica biblica che fa riferimento a una temporalità lineare, a una filosofia della storia che culmina con un racconto apocalittico, si combina con ben altro.

E se Adam è il primo angelo in Evangelion, e se un Third Impact pare irrimediabile, poco serve a capire che ci si trova di fronte ad un gioco cosmico della ciclicità, seppure imbevuta di forti elementi e simboli appartenenti alla tradizione cristiana (e non solo). E nuovamente, nella ricorsività cosmica di conflagrazione e deflagrazione universale, tutto torna a ripetersi quasi in termini sperimentali, fino a che non si arriverà al momento culmine di una “razza perfetta”.

Non pare che possa essere così, in quanto l’uomo sarà destinato nuovamente a ripetersi, tutto ricomincerà d’accapo in un eterno ritorno, confermando la tragica condizione umana nel processo di creazione e distruzione, indifferente e continuo messo in atto dalla Natura.

Ma questa circolarità è forse ben presente nel gioco linguistico del titolo: Neon Genesis Evangelion, “la nuova origine degli angeli” o “la nuova origine di Eva” o “la nuova origine del Vangelo” (inteso qui cristianamente, come il “buon annuncio”). In fondo, da Adamo nasce Eva e una nuova Eva nascerà sempre da Adamo, in una sorta di circolarità che appare quasi irrimediabile, ma che adesso trova una forma diversa con l’intervento della tecnica, e così viene demitizzato il linguaggio simbolico dell’Antico Testamento. Dunque, Evangelion funziona perché mette in moto un dispositivo interpretativo, offrendo un testo[10] da leggere, rileggere, scrutare (per chi non è cieco al significato). Nel caso specifico, l’opera filmica – o relativa alla ormai onnipervasiva serialità – ripropone l’estetica come un «“pensare per immagini”, che si caratterizza sia come un movimento di pensiero che si produce per mezzo di immagini, sia come una riflessione che prende sul serio le immagini stesse e il loro potere di significazione»[11].

L’iconismo cinematografico lavora per concetti-immagine[12], e questi sono oggetti pluristabili[13]; da qui l’applicabilità all’immagine filmica del wittgensteiniano vedere come [ted. Sehen als] [14], inteso come la ricerca di un significato che sta al di sotto della semplice percezione immediata e che costituisce l’esercizio filosofico per eccellenza, in quanto ricerca di senso.

 Così, Evangelion offre anche una nuova formula che combina mito e fiaba, poiché in fondo è questo che hanno fatto e faranno sempre le grandi tradizioni narrative: offrire una storia, perché l’uomo ha bisogno di storie.

L’uomo ha bisogno che qualcosa sopravviva, ha bisogno di miti, leggende che diano senso e costruiscano un’identità, restituendo, in un linguaggio simbolico, una verità velata, nascosta, da decodificare.

Questo gli offre l’occasione di formarsi, riconoscersi, ricordare i pericoli e gli errori commessi, senza doverli guardare direttamente in faccia (perché non tutti ne hanno la forza). Così le grandi storie funzionano come i sogni: raccontano una verità forte, evadendo la censura onirica della coscienza collettiva e lo fanno utilizzando un codice linguistico di ordine metaforico.

Per cui, adesso – parafrasando qualcuno – si prenda tutto ciò che si è scritto e lo si butti nel cestino, perché questa è, di fatto, solo un’interpretazione.

In memoria di Stefania Mari

Aldo Pisano


[1] Per una succinta ma attenta analisi del “mito” e della “mitologia”, si rinvia alle relative voci in: A.V., (2000) Le garzantine. Antichità classica, Le Garzantine, Milano.

[2] Cfr. A.V.,  Hybris,  (2000) Le garzantine… op. cit., p. 690.

[3] In questo caso, si consideri la riflessione da un punto di vista strettamente laico e quindi simbolico. Le divinità greche sono rappresentazioni di elementi presenti nella natura, di spazi, luoghi e temi simbolicamente esteriorizzati nella narrazione mitologica. Un uomo che imita un dio è pertanto leggibile come la tecnica che imita uno specifico “potere” della natura.

[4] A.V.,  Nemesi,  (2000) Le garzantine… op. cit., p. 950.

[5] Cfr. J., Lacan, (2013) Le séminaire de Jacques Lacan. Livre VI. Le désir et son interprétation (1958-1959), tr. it. Il seminario. Libro VI. Il desiderio e la sua interpretazione, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2016.

[6] S., Freud, (1913) Totem und Tabu… op. cit., pp. 206-207.

[7] Cfr. Spider-man. Dir. Sam Raimi. Perf. Tobie Maguire, Willem Dafoe, Kirsten Dunst, James Franco. Columbia Pictures, Marvel Enterprises, Laura Ziskin Productions. 2002. Film.

[8] Cfr.:

  • Unbreakable – Il predestinato. Dir. M. Night Shyamalan, Per. Bruce Willis, Samuel. L., Jackson. Touchstone, Blinding Edge Pictures. Film. 2000.
  • Split. Dir. M. Night Shyamalan, Per. James McAvoy, Anya Taylor-Joy, Betty Buckley. Blinding Edge Pictures, Blumhouse Productions. Film. 2016.
  • Glass. Dir. M. Night Shyamalan, Per. Bruce Willis, Samuel. L., Jackson, James McAvoy. Blinding Edge Pictures, Blumhouse Productions. Film. 2019.

[9] Cfr. S., Sloman, P., Fernbach, (2018) L’illusione della conoscenza. Perché non siamo mai da soli, Raffaello Cortina ed., Milano.

[10]  Cfr. F., Casetti, F., di Chio, (1990) Analisi del film, Bompiani, Milano 2004 (XIVa ed.), p. 1.

[11] M., Ghilardi, (2010) Filosofia nei manga. Estetica e immaginario nel Giappone contemporaneo, Mimesi, Milano-Udine, p. 12.

[12] A., Sani, (2016) Ciak, si pensa! Come scoprire la filosofia al cinema, Carocci, Roma.

[13] Cfr. D., Sirianni, (2017) Vedere come. Iconismo e pluristabilità tra visione e linguaggio, Aracne, Roma.

[14] Cfr. L., Wittgenstein, (1953) Philosophische Untersuchungen, tr. it. a cura di M. Trinchero, Ricerche filosofiche, Einaudi Torino, 2009.

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